Salvatore Giambelluca

Come cambio il modo di stare su Internet dopo Black Mirror

Nosedive, il primo episodio della terza serie di Black Mirror è terrificante.

Immaginate un futuro non troppo lontano dove le persone vanno in giro con solo auto elettriche e che si vestono come negli anni sessanta. Immaginate anche che il cellulare oltre a uno strumento di comunicazione e un telecomando della quotidianità sia anche un’arma con cui giudichiamo ogni singola persona che ci passa davanti.

Black Mirror è una serie televisiva britannica, ideata e prodotta da Charlie Brooker per Endemol. E’ una serie antologica, in quanto scenari e personaggi sono diversi per ogni episodio. La serie muove grandi critiche alle nuove tecnologie e il titolo si riferisce al freddo schermo nero di ogni televisore, monitor o smartphone. Dopo le prime due stagioni che hanno avuto molto successo la terza stagione composta da 6 episodi è disponibile da qualche giorno su Netflix.

La protagonista del primo episodio della terza serie è Lacie, una ragazza carina e per bene che vive in un mondo dove ciascuno è ossessionato dalla valutazione delle più piccole interazioni sociali. Oltre al suo cellulare Lacie porta sempre con sé delle lenti a contatto interattive che le mostrano il profilo Internet delle persone che incrocia per strada, e – cosa chiave e inquietante della storia – il punteggio che esse detengono.

Immaginate un mondo in cui ognuno di noi ha un punteggio, da una a cinque stelle, e che si abbassa o si alza a secondo del comportamento che abbiamo durante la giornata: dialoghi con estranei o conoscenti, mansioni di lavoro, e qualsiasi altro gesto come una brusca discussione con una hostess antipatica a cui assistono anche altre persone che puntando semplicemente il cellulare verso di noi possono infliggerci «una stella» e abbassare di conseguenza il nostro punteggio.

Vabbè cazzate, si potrebbe pensare, in fin dei conti è un punteggio che se parliamo di Internet ha soltanto uno scopo vanesio. Ebbene no. Affatto. Il punteggio che le persone associano al nostro volto è una valutazione sociale che ci permette di avere dei bonus a lavoro, dei prestiti in banca, di affittare un appartamento o un automobile. La polizia non dà una multa, dimezza il punteggio per 24 ore.

Prima di postare la foto della sua colazione Lacie era giù di morale, dopo i giudizi positivi dei suoi contatti alla foto ha cambiato visibilmente umore.

Immaginate dunque un mondo dove la gente vive e si relaziona per avere un punteggio che gli consenta una qualità di vita migliore. Relazioni e affetti basati sull’apparenza. Valutazioni attese con ansia dopo una telefonata litigiosa o un viaggio in taxi, o valutazioni improvvise arrivate dopo un dialogo apparentemente cortese con il benzinaio che ti dà due stelle perché «non mi hai colpito particolarmente».

Fantascienza? Vi sembra fantascienza una vita passata con un telefono in mano, iperconnessi, dove ognuno delle persone con cui ci relazioniamo possiede un profilo su Internet che lo rappresenta? Dove passiamo le giornate a giudicare oggetti, cibo, luoghi?
E vi sembra fantascienza un punteggio che fa di noi una persona più o meno socialmente interessante? In Black Mirror l’oggetto della storia sono le stelle, ma chi oggi di noi non osserva quanti «mi piace» o «cuori» detiene una foto, un video, un articolo? Dandogli di conseguenza il giusto interesse?

Black Mirror non è fantascienza. Black Mirror non è distopia.

L’altro giorno l’Economist ha pubblicato un articolo in cui spiegava come è possibile guadagnare centinaia di migliaia di euro postando una semplice foto o un tweet. Nella maggior parte dei casi bisogna essere dei «social media influencer», ovvero personaggi in grado di influenzare i propri followers, o meglio dire «seguaci», fa più effetto: più ne hai e più le aziende sono disposte ad offrirti. In Black Mirror l’influenza in Rete è raccontata come strumento indispensabile per alzare il proprio tenore di vita. 

Contatori. Numeri. Influenze. Tre punti chiave che gli sceneggiatori di Black Mirror hanno estrapolato dal presente e immaginato in un futuro – non molto lontano – inquietante.

La mia mossa personale per provare a divincolarmi da certi meccanismi è cercare di fare a meno di quei numeri usati per valutare le cose che produco, ovvero: post, articoli, libri, scemenze. Via dunque il contatore di Facebook dal blog. Se qualcuno avrà voglia di leggermi lo farà senza che dei numeri gli suggeriscano a quante persone è già piaciuto quello che ho scritto. Chi vorrà comunicare il suo apprezzamento potrà farlo con un commento, o se preferisce con una mail.

Non mi considero uno schiavo dei numeri, come non mi considero uno schiavo del giudizio della Rete, ma proprio perché penso che Internet sia un eccezionale strumento che ha migliorato le nostre vite cerco di fare un piccolo passo che mi dissoci da uno specchio che riflette immagini che alimentano un mondo brutto e insignificante.

«L’arte non serve per fare le rivoluzioni, serve per ampliare le nostre percezioni, per affinare i nostri sensi, per affilare quella cosa che chiamiamo coscienza».

Creo cose per internet, fotografo mari e monti, leggo e scrivo storie.