Salvatore Giambelluca

La bicicletta verde pastello

La bellissima illustrazione è di Fabiola Martelli.

La trovò poggiata su un albero, Nicolò. In una calda mattina di luglio. Quando ancora scalzo e senza maglietta teneva tra le mani un freddo bicchiere di latte. Era lì, abbattuta, con le ruote sgonfie e la catena spezzata. Aveva anche i freni malconci. Sono sicuramente da cambiare, insieme a tutto il resto. Così gli disse Giovanni il suo miglior amico, e anche Michele il meccanico che aveva l’officina vicino il negozio di suo padre.

Ma a lui piaceva. Nicolò se ne era innamorato. Lui che non si innamorava mai di niente. Lui che non si innamorava mai di nessuno. Voleva prendersene cura, così la caricò sulle spalle e la portò sul terrazzo dei nonni. Là dove nessuno avrebbe espresso pareri e giudizi. Suo nonno aveva costruito una tettoia in vetro che teneva il terrazzo al fresco. Nicolò ci saliva spesso quando aveva voglia di stare da solo. A volte ci trovava sua nonna che si prendeva cura delle tante piante che circondavano il terrazzo canticchiando qualche canzone di Mina.

Quella mattina non c’era nessuno sul terrazzo, così Nicolò ci sdraiò la bicicletta e rimase ad osservarla. Pensava e ripensava a come rimetterla a nuovo, a come farla tornare a sfrecciare più veloce di prima. Il telaio era in buone condizioni. La vernice sembrava ancora fresca. Era di un verde luminoso, un verde intenso, vivo, come il prato di un campo di calcio prima di una finale di coppa dei campioni.

Tornò da Michele e si fece prestare una pompa, poi andò a comprare una catena nuova e dei freni in un negozio fuori città che gli aveva consigliato un tizio con una tuta da ferroviere che passava le giornate su una panchina fuori la stazione. Fece molto in fretta Nicolò. Correva. Correva e si fermava passandosi la mano sulla fronte a togliere il sudore che procura il caldo di una banale giornata d’estate in Sicilia.

Tornò al terrazzo stremato. Tolse la maglia e la gettò a terra. Tolse anche le scarpe. Sua nonna avrebbe apprezzato.

Per prima cosa gonfiò le ruote assicurandosi che fossero soltanto sgonfie. Poi mise i freni: davanti e dietro. E infine la catena, che inizialmente credeva non fosse adatta. Credeva fosse troppo piccola. Fu suo nonno a dargli una mano. Poggiò il quotidiano e gli occhiali sul davanzale e si piegò ad aiutarlo. Lascia fare a me, gli disse. Ci mise un attimo. In un gesto la catena scivolava che era una bellezza. E a lui scappò un sorriso.

La misero in piedi. Ne tastarono i freni, le gomme, il volante che era un po’ storto. E il sellino. Anche il sellino aveva un problema. Gli era sfuggito. Una volta saltato su Nicolò si accorse che si abbassava. Eppure non si stringeva. Il bullone era da cambiare. Ne dovrei avere qualcuno giù in garage, gli disse suo nonno. Lo vado a prendere io, rispose lui, che andò di corsa.

Tornò con una cassetta piena di attrezzi e robacce. Suo nonno ci frugò per alcuni secondi poi prese quello che serviva e lo infilò sotto il sedile. Entrambi avevano le mani sporche di grasso. E non solo le mani. Provarono un’altra volta a metterla su. Nicolò si rimise in sella. Fece più attenzione, aveva paura che non sentisse l’appoggio. Invece il bullone teneva. Il sellino non scendeva più.

Di pomeriggio, sul tardi, quando il sole sembra infilarsi in mare, Nicolò riportò la bicicletta sull’albero dove l’aveva trovata. L’appoggiò piano, con accortezza, e beato si sedette sul prato ad osservarla splendente. Non vedeva che due piani sopra di lui, su una finestra, ad osservarlo insieme alla sua nuova bicicletta verde pastello c’era suo padre, che felice ripensava a quell’affare che avrebbe reso più uomo suo figlio.

Buon ferragosto, gente! 

Creo cose per internet, fotografo mari e monti, leggo e scrivo storie.