L’altra sera nel suo nuovo programma televisivo, Morgan ha affrontato un tema interessante, ovvero il consumo della musica in streaming.
Premetto che non ho ancora visto “StraMorgan”, ho però letto e ascoltato il monologo in questione e mi sento di dire che contiene una serie di cose distorte.
Morgan accusa Spotify e le altre piattaforme che mettono a disposizione la musica senza – parole sue – cederla al cliente. Secondo Morgan è come se te la noleggiasse, imponendoti di usufruirne esclusivamente nella loro piattaforma.
Morgan afferma: «Le canzoni sono il mio bagaglio culturale. E cos’è un bagaglio culturale? È una collezione di scelte accurate, archiviate, che sono disponibili all’uso. I sistemi odierni ci prendono tutto e lo chiamano condivisione, cioè sottrarre senza pagare. Compreso quello che paghiamo pure. Lo paghiamo e non ce lo danno».
In realtà nell’espressione di questo concetto Morgan sbaglia, perché non è vero che le piattaforme non ti danno la musica. Quando io ascolto un disco dal mio telefono o da qualsiasi altro dispositivo, sto usufruendo di quel contenuto e della sua espressione artistica. È un po’ come quando vado ad un concerto.
Morgan continua: «Da quando esiste l’archiviazione in rete, non si torna a casa con in mano l’oggetto. Dopo averlo pagato rimani a mani vuote. Hai una ricevuta che ti permette di utilizzarlo. Lo usi e torna nell’entropia, nella nuvola, dove io non posso entrare. Appartiene a un altro».
Anche qui Morgan dice inesattezze. La musica è dentro una nuvola in cui io ho accesso 24 ore su 24, da ogni parte del mondo, e non necessito di una connessione ad internet perché posso pure scaricarla nel mio dispositivo.
«Per tutti è normale quel che non è normale. Ovvero: che se io compro musica digitale non mi viene consegnato un file, ma un accesso a un luogo dove c’è il file. È esattamente come dire che compro una t-shirt, ma non me la danno. Lo tengono loro e io se voglio posso andare là, la metto, faccio un po’ di giri, mi specchio e poi torno a casa. Ma lo spirito critico che fine ha fatto? Sotterrato? Lo dico a chi vuole uscire da questo torpore: è un vero e proprio abuso. Qualcosa per cui avremmo dovuto lottare da più di dieci anni».
Morgan dovrebbe sapere bene che l’abbonamento mensile a Spotify o Apple Music costa meno di un disco. Non capisco dove stia l’abuso. Se voglio il disco fisico per il gusto di farlo suonare da uno stereo o da un giradischi (cosa che faccio) mi reco in un negozio e lo compro, ma è una scelta individuale. Inoltre la metafora con la t-shirt (anche se di questi tempi fasci sarebbe meglio dire maglietta) non è proprio azzeccata: personalmente ascolto la musica a casa mia, nella mia auto e dove mi pare.
Penso che le parole di Morgan – artista che stimo infinitamente – siano piene di populismo che non smuovono la coscienza di chi usufruisce della musica attraverso servizi di streaming. Mi riferisco alle generazioni più giovani di cui ahimè non faccio parte. Sono convinto che dietro le parole di Morgan ci sia la volontà di far tornare la musica una cosa da sfoggiare e custodire, ma non è schierandosi contro il progresso che questo avverrà.