La notizia della famiglia finlandese che ha lasciato la Sicilia perché le scuole non erano all’altezza, ha suscitato un dibattito interessante. Da una parte i critici schierati con i nord-europei, dall’altra i siculi che appena vedono un dito puntato contro la Sicilia iniziano a sparare una serie di minchiate per difendere l’onore della propria terra. La verità sta nel mare, come sempre.
Prima regola per chi viene in Sicilia: c’è una sottile differenza tra essere un turista o un cittadino di Ortigia, Siracusa, Trapani, Palermo e altre città. Capita a molti durante la vacanza nel centro storico, con il mare a due passi, botteghe, bar e ristoranti, in piccole e grandi città baciate dal sole, essere assaliti da quella bella pensata: «ma sai che quasi-quasi vengo a vivere qui, lavoro in smart working e iscrivo i miei figli a scuola, pagando le tasse ovviamente».
A quel punto ci vorrebbe un amico, un amico sincero, che ti induca a pensarci bene, a studiare il posto, a documentarti, perché quella scelta potrebbe rivelarsi una colossale minchiata. Solo dopo una scrupolosa valutazione rischio-beneficio si è pronti a conoscere il fantasma che ospita questa affascinante e maledetta terra: il disservizio (no, quell’altra cosa non la nomino perché sappiamo tutti che non esiste più, no?).
A quel punto, il turista diventato cittadino siculo, si accorge dell’altra faccia della medaglia: in ospedale per un esame strumentale i tempi sono biblici, l’autobus passa ogni ora, ai treni meglio non pensarci, i parcheggi niente ma forse con uno o due euro all’ora se hai fortuna trovi, se piove le fogne diventano gayser, tutto si allaga, la spazzatura è sparsa ovunque (più è grande la città più è grande la munnizza), camminare a piedi è rischioso, in bicicletta peggio, col monopattino hai tendenze suicide.
Succede dunque che la Sicilia ti faccia sentire fregato, deluso, raggirato. Sono cresciuto nella quinta città d’Italia per numero di abitanti. Per Goethe, Palermo era “il posto più bello del mondo” e probabilmente aveva ragione, ma per me è sempre stata una città popolata da troppi stronzi che non ne hanno cura. Per non parlare delle province, da Trapani a Siracusa, versano in uno stato di abbandono industriale e culturale. Non è un caso che stazionano negli ultimi posti della classifica per qualità della vita, perché l’aria buona e i promontori che tolgono il fiato non bastano.
Riguardo alla scuola, non sono un insegnante e non seguo da vicino la didattica contemporanea, ma i dati sulla scuola siciliana sono stranoti: la Sicilia ha il più alto tasso di dispersione scolastica. I fattori che influiscono sono molteplici, ma per rendere la società migliore bisogna partire da lì, dalle scuole, ma per lo stato italiano è un investimento trascurabile.
Senza allungare troppo il brodo, chi vive in Sicilia sa che la dolcezza del clima e la bellezza dei luoghi si pagano con una pessima qualità dei servizi e una paralizzante arretratezza infrastrutturale. Per chi lavora e fa impresa da queste parti è tutto più difficile, bisogna fare di necessità virtù, e se un’avventata e illusa famiglia finlandese critica il sistema perché credeva di trovare un posto migliore, non è da biasimare, perché anche solo per pochi giorni ha spostato l’attenzione su un argomento di cui non si parla abbastanza, perché troppo distratti da quel mare che ci circonda, come sempre.