La sera della vigilia di Natale del 1945, Peppino aveva nove anni. Quando ha sentito bussare alla porta si è precipitato ad aprire perché correva voce che un uomo barbuto vestito di rosso distribuiva regali ai bambini. Fuori però, infreddolito e con una valigia in mano, c’era suo fratello Paolo.
Da quando una bomba aveva distrutto casa sua, Peppino viveva a casa di nonna Maria, una donna di bassa statura dall’aria elegante. Erano trascorsi dieci anni dall’ultima volta che nonna Maria aveva visto suo nipote Paolo. Quella sera si è ritrovata davanti un ragazzo alto, che portava gli occhiali rotondi e i capelli tirati indietro dalla brillantina. Paolo indossava un cappotto scuro sopra un vestito blu e delle scarpe di cuoio. In casa c’erano anche nonno Melo e Titina, una giovane vicina che sfuggiva dalla solitudine.
Paolo aveva appena acceso una gioia improvvisa dentro una casa in cui si respirava una composta malinconia.
«Secco che sei» ha pronunciato nonna Maria appoggiando una mano sul viso di Paolo. Stentava a riconoscerlo.
«Maria metto la pignata e facciamo due fili di pasta in quattro e quattr’otto» ha aggiunto Titina, stringendo lo scialle azzurro che le copriva le spalle.
Alleggerita l’euforia, Paolo si è avvicinato a suo nonno che lo guardava compiaciuto. Nonno Melo parlava poco dopo che un’esplosione a pochi passi gli aveva ridotto di molto l’udito.
Nel frattempo Peppino osservava suo fratello con ilarità. Fino a quel giorno, Paolo per lui era solo un’immagine delle lettere che scriveva e leggeva per nonna Maria.
Titina ha apparecchiato la tavola con la tovaglia ricamata per le feste, ci ha messo sopra del pane e del formaggio, poi è corsa a casa ed è tornata con in mano una bottiglia di vino mai aperta.
«Questo me lo ha portato mio cugino da Marsala. E’ di quelli buoni. Però vacci piano perché dice che è forte».
Paolo ha ringraziato Titina e si è seduto a tavola. Era affamato, viaggiava da giorni, eppure navi, treni e corriere non avevano scomposto il suo aspetto. Anche Peppino si è seduto a tavola, la contentezza per quella visita gli aveva messo appetito. I due non si erano ancora rivolti la parola. Ci ha pensato Paolo a rompere il ghiaccio: «ci vai a scuola?». Peppino ha risposto di sì muovendo la testa velocemente. «La nonna mi ha detto che sei bravo» ha aggiunto, Peppino a quel punto è diventato tutto rosso, come il pomodoro che riempiva il suo piatto di spaghetti.
Nonna Maria ha osservato in silenzio i suoi nipoti mangiare con gusto, gioendone. Li ha guardati e riguardati. Entrambi somigliavano alla madre, avevano gli occhi gentili e le braccia educate.
«Come ti trovi a Parigi?» ha domandato a Paolo.
«Bene nonna, grazie».
«Dimmelo in francese».
«Je me sens bien à Paris, grand-mère».
Nonna Maria ha nascosto le lacrime dentro un sorriso fiero. Anche Titina si era unita alla conversazione, a quel punto Paolo non ha potuto esimersi dal soddisfare la loro curiosità: la fine della guerra, la liberazione dal regime fascista, il trasferimento in Francia e il nuovo lavoro per un giornale importante. La vita di Paolo era libera e scorreva veloce.
E Peppino ascoltava, ascoltava con entrambe le mani sotto il mento. Immaginava il suo futuro attraverso i racconti del fratello, ne fantasticava i profumi avvolto da una coperta di lana. Quasi si addormentava cullato dalle parole, fino a quando Paolo ha tirato fuori un pacco dalla valigia.
«È per me?» ha urlato Peppino con occhi spalancati.
«Certo».
Peppino non aveva mai ricevuto regali come quello. Il pacco era avvolto da una carta lucida e rossa. Irrigidito dall’imbarazzo, ha chiesto aiuto alla nonna che divertita si è rifiutata.
La gioia era tutta in quel «miiiii» entusiasta nello scoprire il contenuto. Nelle lettere che Peppino scriveva a Paolo, confessava la passione per i treni: li osservava, disegnava e sognava di guidare per raggiungere proprio il fratello. Quella sera reggeva tra le mani la sua prima locomotiva, consegnata da chi temeva non incontrare mai.
«Buon Natale, fratellino» gli ha sussurrato Paolo abbracciandolo.