Uno dei premi letterari più prestigiosi in Italia è il Campiello, lo hanno vinto Primo Levi, Bufalino, Sandro Veronesi e altri stimati scrittori, sabato scorso lo ha vinto uno dei libri che ho letto questa estate, tra scogli siciliani e pugliesi. Sto parlando del primo romanzo di Bernardo Zannoni, i miei stupidi intenti.
È la storia di una faina, Archy, che ad un certo punto viene abbandonata dalla madre e affidata ad una vecchia volpe. Nonostante la narrazione un po’ surreale, il libro mi è piaciuto molto, oltre ad essere ben scritto, l’autore riesce ad affrontare quesiti per nulla banali come la morte, la vita, Dio.
«Più scrivo, più l’ossessione della morte si fa leggera. La sconfiggo a ogni pagina, specchiandomi nel colore, nelle linee che traccio», scrive Archy durante la sua fase di crescita.
Zannoni ha provato ad umanizzare gli animali, animalizzando gli umani. L’ho trovata una pratica originale per raccontare una bella storia, a tratti crudele, utilizzando la fantasia e l’uso magistrale della scrittura.
Questo post è tratto da Telegramma, la mia newsletter.