Quando ho proposto a Laura di salire sull’Etna, mi ha risposto di sì senza esitare. Dopo ha iniziato a chiedermi se ne ero sicuro-sicuro, io che ho sempre preferito il mare alla montagna, ma sì, ne ero sicuro-sicuro, perché volevo guardare la Sicilia dal punto più alto possibile, ma soprattutto volevo provare meraviglia.
Appuntamento lunedì 25 aprile in Piazza Stesicoro di Catania. Niente pullman o funivia, decidiamo di fare un’escursione vera, affidandoci ad un ragazzo che conosce quella montagna come le sue tasche: Alessandro Guzzetta, in arte Etnarock. Dotato di una contagiosa simpatia e un bagaglio culturale che va oltre il territorio siculo, Ale ci accoglie nel suo minivan mettendoci subito a nostro agio: «Carusi oggi siamo in vacanza, ci divertiremo». Per onestà intellettuale gli confesso subito la mia palermitanità e a fine giornata gli mostrerò pure l’elefantino cucito nei calzini: «è una paraculata che andava fatta».
Oltre ad essere la persona più intelligente che conosca, Laura è anche la più accollativa: proponile di seguirti in qualsiasi posto del mondo dove non sia ancora stata e verrà con te. Mare, montagna o città non fa alcuna differenza, l’importante è partire, vedere e mangiare cose nuove, meglio se con una lonely planet in tasca. È grazie a lei che arriviamo alle pendici dell’Etna con tutto l’occorrente per una scalata, Alessandro ci fornirà solo bacchette e scarpe per il trekking.
Il gruppo è formato da trenta persone più altre tre guide. Italiani e stranieri. La lingua parlata è perlopiù inglese, ma Alessandro e gli altri spiegano tutto anche in siciliano se è il caso. Prima di iniziare la salita ci viene chiesto se abbiamo cibo e acqua a sufficienza, ci osservano per capire se siamo abbastanza coperti. La giornata è primaverile e la temperatura a Catania era intono ai venti gradi ma a 1000 metri fa freschetto, pensa un po’ a 2400 metri. Sono tutti attenti e premurosi, la sensazione è di essere in mano a professionisti che sanno quello che fanno.
«Partiremo da qui?» chiedo a Laura dando un’occhiata alla montagna.
«Non penso proprio» risponde lei immaginando un percorso meno ostico.
Partiremo proprio da lì.
«Passi brevi. Aiutatevi con le bacchette. Se iniziate a sudare togliete qualche strato» le ultime indicazioni.
Io e Laura ci posizioniamo nella coda del gruppo, insieme a dei ragazzi arrivati da Agrigento. L’atmosfera è quella di una gita. Iniziamo piano, molto piano. Ci fermiamo dopo dieci minuti ma sembrano passate due ore. La salita è ripida e il terreno sconnesso, la respirazione diventa importante: tocca utilizzare il diaframma altrimenti si va in iperventilazione.
«Ce la fai?»
«Ce la faccio».
La coda italiana del gruppo è lenta, troppe lagne e troppe risate. Gli stranieri guidano la camminata, ogni tanto si voltano verso di noi con sguardo compassionevole, tra loro due uomini sui settant’anni con lunghi capelli grigi hanno l’aria di chi se la sta godendo. Spesso mi guardo indietro per capire dove siamo e quanto siamo alti: sembra di essere su un altro pianeta. Alessio, una delle guide, mi dice che muovo le bacchette nel modo giusto. Forse lo dice per incoraggiarmi. Anche Laura cerca di incoraggiarmi, lei non sembra affatto stanca, ha l’aria felice come quando ordiniamo sushi.
Dopo un’ora facciamo la prima vera sosta. Alessandro ci mostra una serie di crateri inattivi, ci spiega cose molto interessanti che non mi sembra corretto riportare perché sarebbe il caso di sentirle da lui con i piedi ben saldi sul vulcano. Mentre racconta aneddoti e leggende il gruppo lo ascolta con attenzione. Io nel frattempo ho iniziato a sudare e tolgo il piumino, mi rendo conto di portare uno zaino pesantissimo. Bevo, ma non troppo. Laura mi porge dei biscotti che stranamente rifiuto. Ho ancora le energie della ricca colazione fatta di cornetti e pezzi di torta al cioccolato.
«Carusi oggi ci dobbiamo divertire e godere la natura».
Alessandro Guzzetta alias Etnarock
Nel gruppo c’è un uomo che arranca. Alessandro gli chiede come stia, lo vede sudato e gli suggerisce di togliersi qualcosa di dosso. Lui fa cenno di no con la testa. Alessandro insiste, gli suggerisce di fermarsi e qualcuno lo accompagnerà in pianura perché dopo sarebbe più difficile tornare indietro. L’uomo sembra deciso a continuare.
Dopo un paio d’ore di camminata, inizio a sentire il mio corpo leggero. Un paio di volte richio di scivolare dentro qualche cratere, a volte mi fermo per fotografare il paesaggio e penso che nessuna fotografia si avvicina lontanamente a quello che vedono i miei occhi.
Io e Laura ci stacchiamo dal gruppo italo-siculo e ci avviciniamo agli stranieri che proseguono a testa bassa, forse credono che all’arrivo qualcuno darà loro una medaglia. Quando il vento inizia a soffiare forte ci infiliamo una giacca che ci copre bene la testa. Sui nostri corpi riflettono i raggi del sole ma la temperatura è vicino allo zero.
Dopo aver camminato per più di 3 ore, il corpo inizia a relazionarsi meglio con il luogo. Non sono più un estraneo arrivato dalla città, dimentico da dove sono partito, la voglia di arrivare in cima viene offuscata dalla straordinarietà del momento. Infilo la mano nella terra, stringo la pietra lavica sentendone la consistenza. Più avanti alcune persone spariscono dopo una salita. Potrebbe essere l’ultima. Oltre quelle pietre c’è Alessandro, è contento e sta abbracciando tutti, poi guardandoci urla: «ragazzi ce l’avete fatta!»
Duemila e quattrocento metri, davanti a noi La valle del bove, una delle parti più caratteristiche dell’Etna. La sua formazione risale a circa 64000 anni fà quando a causa di un collasso dei teatri eruttivi del Trifoglietto I e del Trifoglietto II, predecessori dell’Etna. Lo sprofondamento dei due crateri formò una caldera profonda 1 chilometro e larga 5 chilometri.
Ci sdraiamo a terra stanchi e felici, il timore di non farcela è ormai un lontano ricordo. Mangiamo e beviamo con addosso la felicità di chi esce dall’ordinario per abbattere le paure. Intorno a noi facce di festa, fotografie, abbracci. Arriva anche l’uomo che arrancava, con lui c’è Alessio che non l’ha lasciato un attimo.
La discesa è gioia. Corriamo sopra la sabbia di lava come bambini dopo il suono della campanella. Ci infiliamo in una grotta dove troviamo ghiaccio e storie. Poi solo alberi, piante e la strada che ci riporta giù, alla vita ordinaria, ma con la consapevolezza di essere più forti, come persone, come coppia e come abitanti di un pianeta a cui si deve solo voler bene.