«Perché le cicatrici possono ucciderti anche quando le ferite sono guarite», scrive Bruce Wayne nel suo diario. È uno dei momenti conclusivi di The Batman, il nuovo film di Matt Reeves che aveva l’arduo compito di arrivare dopo il Cavaliere Oscuro. Il film ha una direzione inquieta, angosciante, e forse per questo vera e bellissima.
The Batman – già dal titolo vuole scalzare via il passato, proclamandosi unica opera – ha una dimensione poco supereroistica, pienamente connaturata allo spirito dei primordi del personaggio. Un Batman dark e rock pervaso da un’angoscia interiore. Un’angoscia sorda, quasi sotterranea, che Robert Pattinson è molto bravo a trasmettere attraverso il suo mesto volto.
«Perché le cicatrici possono ucciderti anche quando le ferite sono guarite».
Bruce Wayne
La regia e la fotografia sono sontuose: «Io non sono nell’ombra. Io sono l’ombra» scrive sempre Bruce Wayne nel suo diario, giustificando l’atmosfera perennemente ombrosa, che nel film più di una scenografia è un tema. La sceneggiatura tiene lo spettatore per tutto il film, nonostante la durata forse eccessiva.
Il Batman di Pattinson assiste alla difficile e dolorosa costruzione di un uomo degno. È elegante ma non artificiale, forte ma non macho, inquieto ma non fragile. Anzi, trae linfa per trovare forza proprio dall’inquietudine, dalle sue fragilità. Dalle quali non fugge, ma le affronta e ne fa virtù. Accetta nella forza la sua antinomia: la debolezza.
L’impressione che ho avuto è che il film sia anche un proseguimento e il rovescio di Joker, interpretato da Joaquin Phoenix e diretto da Tedd Philips. Entrambi stanno fermi in quei luoghi, nel senso che sono impaludati, stagnanti. Come degli universi paralleli dove non si è più andati avanti, dove è scomparsa la nozione di futuro. Sono luoghi da intendersi come estetiche cinematografiche, come dei limbi. E in questo senso The Batman di Reeves è una continuazione con delle variazioni importanti del Joker di Philips.
Batman è l’unico supereroe che può essere Kurt Cobain che scrive Something in the way.
Matt Reeves
Ha senso oggi l’ennesimo reboot della saga cinematografica di Batman? «Il senso ce l’ha e ce l’avrà sempre», dice Reeves, «perché Batman è l’unico supereroe che può essere (anche) Travis Bickle in Taxi Driver. O Kurt Cobain che scrive Something in the way», ultima traccia di Nevermind e pietra angolare dell’imponente colonna sonora del film. Batman è un’opera sui pericoli che si muovono nelle parti di mondo che non vediamo: perché ci sfuggono, perché le ignoriamo, perché ci spaventano, perché ci infastidiscono, perché ci intristiscono.