La letteratura è piena di storie che raccontano vicende familiari. Prendi due grandi classici come I fratelli Karamazov o I Giardini dell’Eden, oppure due romanzi recenti come Prima di Noi di Giorgio Fontana o I Leoni di Sicilia di Stefania Auci. In ognuno di questi la famiglia è al centro: conflitto, amore, odio, tradimento, rivalsa. È da lì che nasce ogni forma d’arte, come testimoniano teatro e cinema.
Un regista che ha basato la sua carriera sul racconto familiare è Gabriele Muccino. Bravo (quanto basta), folle (fino a sembrare credibile), violento (per differenziarsi dalle commedie). I suoi film sono ormai riconoscibili. Nelle sue storie si assiste all’angoscia dei protagonisti, si vive il dramma che ogni personaggio porta con sé, perché secondo lui tutti noi portiamo dentro un vulcano pronto ad esplodere.
Nella serie tv A casa tutti bene, ispirata al suo omonimo film, Gabriele Muccino ha potuto esprimere il meglio di sé. Ha sviluppato in 8 episodi di un’ora quello che solitamente comprime in poco meno di due, così lo spettatore non ha l’impressione di assistere solo ad un delirio sentimentale lungo un piano sequenza.
Due famiglie dove una sembra meglio dell’altra ma in realtà così non è. Tolstoj diceva che tutte le famiglie felici si somigliano, ma ogni famiglia infelice è disgraziata a modo suo. Muccino lo sa bene e mette al centro della storia (e della contesa) un ristorante, il bene della famiglia borghese. Denaro, sesso, cibo. Viene fuori una serie sociologica dove non esistono buoni e cattivi, sono tutti dei farabutti, ipocriti e volgari speculatori di sentimenti altrui.
Anche in questo lavoro, Gabriele Muccino racconta la continua ricerca della felicità, dando più rilevanza alla pancia che alla testa, urlando come solo lui può che in mezzo ci sarebbe il cuore, che rimane un muscolo incontrollabile.