Riccardo Palombo è una persona che seguo con interesse su internet. È un informatico. Ascolto i suoi podcast, leggo i suoi post, guardo – a volte – i suoi video. Di lui mi piace che fa quello che fa senza risultare noioso, è un po’ il segreto di quelli bravi: «dire e fare senza annoiare», diceva la mia prof di storia.
Sul suo blog Palombo alcuni giorni fa ha scritto: «chiudo tutto, chiuderò tutti i commenti, su tutte le piattaforme, su tutte le mie cose. Sembra drastico ma non lo è». Il punto più interessante arriva quando ad un certo punto Palombo scrive: «non sarebbe stata una scelta istintiva perché ci ragiono da mesi e perché credo sia un punto d’arrivo, alla fine».
Cosa spinge una persona che ha un seguito, che ha creato una “comunità”, a spegnere il microfono e rendere i suoi spazi delle stanze “poco aperte”?
Capisco bene il gesto di Palombo perché nel 2018 ho fatto la stessa cosa con il mio blog, che a giorni compie tredici anni. Tredici. Fino a quel giorno il mio blog contava una discreta quantità di lettori che commentava le cose che scrivevo. Avevo da poco pubblicato il mio secondo romanzo, poi ad un certo punto scrissi questo post. Trasformai il blog in un muro, ancora più personale. Da allora lo imbratto con parole a cui nessuno può aggiungere altre parole, ma rimane comunque condivisibile con coloro che hanno voglia di leggerlo, e chiunque voglia dirmi qualcosa ha gli strumenti per farlo.
Troppi spazi su internet sono ormai affollati per il gusto di commentare e non per approfondire, studiare. I social network hanno trasformato internet in una gigantesca piazza dove si fa a gara a chi urla più forte. Avete mai letto i commenti delle notizie che pubblicano i giornali su Facebook? È una cosa deprimente.
Sogno internet senza commenti, dove le persone sbraitano di meno e si abbracciano di più.
Questo post è tratto da Telegramma, la mia newsletter.