Le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti in un film di tanti anni fa. Anche chi dovrebbe fare molta attenzione a sceglierle, sbaglia. Prendiamo il caso del nostro attuale Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. In questi mesi si è mostrato più volte in diretta nazionale, ha parlato agli italiani, al mondo, e forse anche a qualche forma extraterrestre che ci guarda con perplessità da lontano.
Con la premessa che le mie sono considerazioni personali, e che ritengo la buona capacità oratoria/comunicativa di un politico una qualità e non un dovere, credo che la comunicazione del Presidente Conte in questi due mesi sia stata pressoché approssimativa, fuorviante, poco chiara insomma.
Stiamo vivendo il periodo socio-economico più drammatico dal dopoguerra. Ricoprire una carica politica oggi è un ruolo di grande responsabilità, soprattutto se sei il capo del governo di un paese fondatore dell’Unione Europea. Può non essere semplice, ma dobbiamo fare di tutto affinché lo diventi.
Da grandi poteri derivano grandi responsabilità, diceva un amico.
Ho ascoltato bene i discorsi del Presidente del Consiglio negli ultimi mesi. Nei primi due interventi la forma veniva occultata dai contenuti spaventosi: pandemia, salute, numeri di decessi. Nei successivi interventi però, l’attenzione si è spostata: la salute ha lasciato posto alle restrizioni.
Non voglio entrare nel merito delle scelte, ma sul come queste scelte sono state comunicate.
Già nella conferenza stampa dello scorso 10 aprile, il testo del Presidente Conte aveva mostrato non poche lacune: trascurati temi importanti come l’organizzazione sanitaria, poche parole in merito agli strumenti economici e tecnologici che potrebbero aiutare aziende e lavoratori a riprendere le loro attività, e conferenza centrata sulla decisa risposta data all’opposizione politica.
Il peggio però è arrivato nell’ultima conferenza, quella di domenica 27 aprile. Il testo si prende i meriti della curva decrescente dei contagi, si loda su quanto fatto, si autocelebra per la maggior parte del tempo, lasciando pochissimo spazio alle parole «salute» e «progettualità». Ha confuso paragrafi collegando allenamenti di sportivi ad onoranze funebri, ha riportato in auge una parola desueta come «congiunti» che ha fatto il giro del sistema solare, obbligando Palazzo Chigi il giorno dopo ad una nota di chiarimento.
Il Presidente Conte, ancora una volta, non ci ha detto come siamo messi, quando saremo in grado di eseguire test epidemiologici diffusi, quando avremo un quadro chiaro e aggiornato dell’evoluzione della malattia attraverso strumenti complessi come le app di contact tracing. Ha impostato il suo testo sul cosa-non-fare e poco sul cosa-faremo. Passato, presente, e poco futuro: poche semplici parole che descrivono bene il nostro paese.