“Piove, piove a rùmpiri”, dice al telefono la signora seduta al mio fianco. Vero è, piove, ma di rotto non c’è niente. Quella della signora la definisco «enfatizzazione sicula»: le persone delle mie parti la usano spesso per descrivere al meglio una situazione.
Dal finestrino del pullman si vede a malapena fuori. Si sente il rumore della pioggia battente che copre anche il volume della radio che l’autista tiene eccessivamente alto.
È presto. Non sono ancora le otto. Vicino a me solo teste appoggiate agli schienali, occhi chiusi, bocche aperte. Uno dei pochi svegli è il ragazzo alla mia destra che guarda un episodio dell’ispettore Coliandro dal cellulare: ha le cuffie.
Io le cuffie invece no. È uno di quei rari momenti in cui preferisco ascoltare i rumori. I rumori sono come i profumi, da quelli riconosci le situazioni, le persone, gli ambienti. Il rumore di un pullman al mattino presto è gradevole. Come quello di un treno. Ci ricorda che la vita si muove anche quando siamo apparentemente immobili.
In un’era dove scegliamo sempre più di isolarci, creandoci un ecosistema di preferenze, sarebbe bello se a volte chiudessimo il libro che stiamo leggendo o infilassimo in tasca il telefono, anche solo per poter ascoltare i tergicristalli che spazzano via la pioggia, la musica scelta da altri, le voci (degli altri). Perché tutto si muove, tutto scorre, ed è bello anche accorgersene.