Un motivo per cui mi piacciono particolarmente le serie televisive è perché a differenza dei film hanno la possibilità di raccontare meglio le storie ma soprattutto i personaggi che le vivono. Un po’ come fa la letteratura, ad esempio. Sarà per questo motivo che molti le associano a vecchi romanzi che hanno formato generazioni. La seconda stagione di Gomorra è una di quelle che meglio racconta la storia e i suoi protagonisti.
Ho seguito la seconda stagione di Gomorra con molta curiosità. La prima aveva sorpreso tutti e anche per questo ha avuto un successo enorme. Prodotta da Sky Atlantic, Cattleya e Fandango è stata venduta in oltre 130 paesi. Il regista – Stefano Sollima – è lo stesso di Romanzo Criminale – La Serie, altro prodotto di Sky che ha avuto molto successo di pubblico e critica. Il coordinamento editoriale è di Stefano Bises e Leonardo Fasoli, che firmano la sceneggiatura della seconda stagione con Ludovica Rampoldi e Maddalena Ravagli, insieme a loro ovviamente anche la penna di Roberto Savino, principale artefice.
Ho incontrato a Los Angeles Nic Pizzolatto, il creatore di True Detective. Aveva visto Gomorra 1 in due giorni. Mi ha detto: “Straordinaria la spregiudicatezza e la velocità con cui avete esaurito linee narrative e sacrificato personaggi chiave”.
Stefano Sollima a Repubblica
Tra le cose che mi hanno colpito della seconda stagione di Gomorra c’è la minuziosità con cui gli sceneggiatori hanno scritto i personaggi. A differenza della prima stagione la centralità degli eventi sembra più spinta dalle debolezze umane dei protagonisti: merito anche degli attori, bravi e credibili in tutte le circostanze.
Gomorra ruota intorno alle vicende criminali di clan camorristi. Nella prima stagione la storia è centrata intorno alla famiglia Savastano che perde il controllo del malaffare per via di Ciro Di Marzio, piccolo camorrista senza scrupoli disposto ad ogni cosa pur di arrivare al suo scopo principale: il controllo di tutto. Si avvale della collaborazione di Genny Savastano, figlio cresciuto nell’ombra del padre boss che lo ritiene non all’altezza. Ciro prima lo aiuta ad emanciparsi, poi instaura un duello che arricchirà di molto la serie.
In Gomorra 2 tutto quello che accade è pensato, scritto a più mani, lo si percepisce sempre.
Gomorra 2 inizia con i riflettori puntati addosso e le aspettative altissime. Una cosa che la differenzia con altre storie televisive – soprattutto italiane – è che in Gomorra tutto può succedere, seppur esista un filo narrativo da seguire non ci sono personaggi più tutelati di altri, forse giusto un paio. E’ per questo motivo che Gomorra 2 punta sul tenere sospeso lo spettatore e sorprenderlo quando meno se lo aspetta. Gli episodi della seconda stagione sono più introspettivi, l’azione – seppur presente con spettacolari scene (la corsa contromano in autostrada è puro cinema d’azione) si può anche respirare in uno sguardo tra due protagonisti che avviene in una semi-buia stanza d’albergo. Niente forzature, niente tizi che muniti di armi fanno giustizia in stile John Wick: in Gomorra 2 tutto quello che accade è pensato, scritto a più mani, lo si percepisce sempre.
Tra le tante sottostorie che colpiscono raccontate in Gomorra 2 c’è quella di Marinella, giovane moglie di un boss che sta scontando la sua pena in carcere. Marinella vive in una casa nello stesso pianerottolo della suocera – nella serie la spietata Scianel. Il sottoscala è chiuso da un’inferriata di cui solo la suocera camorrista possiede le chiavi. Marinella è segregata, per sette anni vive una vita analoga a quella del marito in carcere, fino a quando non si innamora dell’unico ragazzo con cui è possibile avere un rapporto: l’autista e l’uomo fidato della suocera boss. Saviano ha raccontato che ad ispirare questa storia sono stati i fatti di sangue attorno ad Angela Bertucca, consorte del boss della ‘Ndrangheta Rocco Anello. La donna, durante la permanenza in carcere del marito, aveva iniziato una relazione con Valentino Galati, 19enne scagnozzo di Anello: Galati venne fatto fuori. Stessa sorte toccata a Santo Panzarella, sempre a causa di una relazione clandestina allacciata con Angela Bertucca.
Gomorra non mostra il bene perché dal punto di vista criminale il bene non esiste.
Nessun eroe positivo, scene cruenti, rischio emulazione: solite e infinite cazzate da parte del pubblico che pubblico non è, che probabilmente si è limitato a guardare per caso poche scene su internet. Come se dei ragazzi potessero voler aspirare a diventare camorristi dopo aver visto Gomorra. Ci si dimentica facilmente che quello a cui stiamo assistendo è una storia, ispirata da innumerevoli fatti di cronaca, ma una storia, finta, fatta da attori, non un documentario. Gomorra non mostra il bene perché dal punto di vista criminale il bene non esiste. Semmai Gomorra mostra gente che muore, spesso ragazzi, e il più delle volte lo spettatore arriva a pensare alla loro stupidità. Non ci sono regole. E quando pensi di affezionarti ad un personaggio eccolo che ti ricorda quanto egli sia infido e meschino. Nessuno può provare simpatia per i personaggi di Gomorra.
Non mancano però le mie critiche personali alla serie. Questa seconda stagione è stata girata in più località: Germania, Roma, Trieste, tra le altre. Ed è proprio quando Gomorra esce dal suo territorio che perde forza. L’inizio in terra tedesca è pieno di perplessità e punti interrogativi, gli affari di Gennaro a Roma con il mafioso-palazzinaro risulta forzato e innaturale per quanto ben pensato e applicato. Gomorra funziona perfettamente perché dentro uno schema fantasma, un mondo che sembra quasi immaginario, una realtà parallela, tra gli interni sfarzosi ed eccentrici delle palazzine dei quartieri popolari di Scampia e Secondigliano e i volti dei ragazzi fuori dalla società, con le loro storie alle spalle e la voglia di emergere da un contesto in grado di schiacciarli con una velocità e ferocia inaudita.
Gomorra è una storia. Racconta. E dannatamente bene pure. Non ha interesse ad apparire bella, etica, giusta. L’unica cosa di cui si preoccupa è quella di mostrare al meglio cosa c’è al di là del muro, senza giudicare mai.