Mi è sempre piaciuta l’espressione «partita maschia», è una di quelle frasi che raccontano meglio l’agonismo in una partita di calcio, per esempio. Eppure nel calcio moderno le «partite maschie» si vedono raramente, a meno che uno non guardi spesso il calcio inglese. In Italia infatti si preferiscono le partite «intelligenti», dove spesso la tattica prevale su spettacolo e velocità. Anche io mi considero un grande estimatore della tattica, mi fanno impazzire le partite dello 0-0 bloccato, dove i migliori in campo sono in realtà fuori, ossia in panchina: gli allenatori. Poi però la partita maschia vuoi o non vuoi viene fuori, perché il calcio è pur sempre uno sport dove ventidue ragazzi in pantaloncini inseguono una palla, che sia estate o che nevichi, e ognuno di loro si trascina dentro emozioni, problemi, obiettivi.
Come gran parte di appassionati di calcio sono sempre stato attratto dai calciatori di classe: Del Piero, Zidane, Pirlo, Totti, Maldini, (prima), Dybala, Pogba, Marchisio (oggi). Gente che non si è mai privata dell’eleganza ogni volta che sfiorava o sfiora un pallone. Poi però ci sono le eccezioni, perché la vita senza le eccezioni è un banale foglietto d’istruzioni. Quindi ecco l’amore per Giorgio Chiellini, uno dei calciatori più goffi e ineleganti che abbiamo mai giocato ad altissimi livelli, famoso per essere un duro, uno che vanta diversi punti di sutura sul viso, che ha degli zigomi ormai diventati insensibili e che sono più le volte in cui ha finito una partita senza turbante che viceversa. Non a caso è considerato uno dei difensori più antipatici dagli avversari, ma anche uno dei più rispettati: perché va bene essere duri, ma Giorgio Chiellini è anche tra i più corretti e sportivi che abbia mai visto in trent’anni di partite di pallone.
Poi arriviamo a ieri sera, o meglio dire a quest’anno, quando in Italia arriva Mario Mandzukic, nato a Slavonski Brod (Croazia) il 21 maggio del 1986 – ebbene sì, ha la mia età. Mario gira l’europa: Germania, Spagna, fino a diventare l’attaccante della Juventus, dove sostituisce Fernando Lloernte, il bello ma soprattutto il buono (così lo chiamavano i compagni). Mario ha la faccia da cattivo, potrebbe tranquillamente essere il protagonista di un film di Sergio Leone, o per restare ai giorni nostri di Quentin Tarantino.
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È alto abbastanza da sembrare grosso, ha le braccia ricoperte di tatuaggi che se sei cresciuto con una madre che «i tatuaggi solo in galera» ti basta vederlo per iniziare a deglutire e sperare che ti stia più lontano possibile. Fa pochi gol Mario Mandzukic, ma pesanti, pesantissimi, trascina la Juve dagli ultimi posti della classifica fino in testa. A volte si fa male, perché lui non si risparmia mai, non tira mai indietro la gamba, e a volte resta fuori. Mandzukic non è un fuoriclasse, non è il centravanti da trenta gol a campionato, non è bello da vedere, non sono i gol il suo forte, Mario non è uno di quegli attaccanti che ama ricevere la palla tra i piedi e fare divertire la gente, preferisce correre, rincorrere, sentire il corpo degli avversari, lottare, uscire dal campo sporco come un minatore a fine lavoro, perché lui non gioca solo a calcio, lui vive la partita di calcio, come noi da piccoli quando ci sbucciavamo i gomiti e le ginocchia per riprendere il pallone rimasto incastrato in una fiat Panda e tornare a casa giusto il tempo per bere un po’ d’acqua. Ecco come e perché Mario Mandzukic in pochi mesi è diventato uno degli idoli più rispettati e indiscussi della Juventus. E il mio, personale.
p.s. Se volete capire cos’è essere Mario Mandzukic in 3 minuti vi posto il video in basso della partita di ieri sera che lo spiega chiaramente.
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