A dieci anni presi tra le mani una scatola di scarpe, una lucida scatola nera che feci fatica a sollevare. Era una mattina di giugno del ’96, la scuola era finita da qualche giorno, faceva caldo, indossavo dei pantaloncini blu e delle superga bianche. Mi accovacciai a terra incrociando le gambe e aprii la scatola trovandoci dentro un sacco di musicassette. Ero a casa dei miei nonni e quella era la musica che mio papà ascoltava da ragazzo.
Corsi in cucina per andare a prendere lo stereo, l’unico che c’era in casa. Trovai mia nonna che cucinava e mi disse che potevo pure restare lì, così poteva sentire anche lei.
Pink Floyd, Beatles, Dylan, ma anche Camaleonti, Pooh, Dik Dik. Ne presi una a caso, quella di cui non riuscivo a leggere il nome. Aveva una custodia bianca con un nome dall’inchiostro sbiadito.
Partì Let’s Dance, di David Bowie. La prima canzone che ascoltai per mia volontà, con mia nonna che ballava agitando il mestolo sporco di sugo.