«Sì sta bene», ha esclamato Carletto domenica mattina a chissà chi dal suo balcone. Erano le sette e qualcosa e io avevo da poco spento la sveglia. C’era un bel sole e una temperatura piacevole. Carletto era in pigiama con in mano la solita sigaretta. Il suo balcone è fronte al mio, un poco più alto. È uno che si sveglia presto, Carletto. A quanto pare pure la domenica. Una volta l’ho visto in mutande, sul balcone, poi sono rientrato un po’ provato. Era estate. Gli slip erano bianchi, come la strettissima canottiera che non copriva abbastanza la panza.
Carletto ha circa trentacinque anni. Forse qualcuno in più. È alto e grosso, e vive con sua mamma, una piccola professoressa di latino dall’aria severa che va in giro solo in taxi. «È sempre molto gentile ed educata» dice di lei il vicinato.
Fuma tanto Carletto, troppo a giudicare dalla tosse ed è parecchio tifoso del Palermo. Quando finisce la partita esce a fumare una-due sigarette scambiando qualche commento con chiunque veda. È parecchio critico: alcune volte ho assistito ad alcune sue discussioni con chi la pensava diversamente ma sempre con toni pacati. Di solito terminano con una grassa risata da parte sua.
Non ho mai sentito Carletto parlare in dialetto. Nemmeno una parola. Questo mi incuriosisce sempre: sentire un ragazzo palermitano non far uso del dialetto è raro. Per quelli che vivono fuori non vale. Carletto litiga e impreca in italiano e ha un lessico di tutto rispetto. L’accento è molto forte ma quella è un’altra storia.
In passato Carletto divertiva i vicini canticchiando vecchi pezzi di Mina o Celentano con una discreta intonazione. A volte cantava anche qualche pubblicità. Qualche anno fa si era fissato con «dodici-quaranta-suona-fischia-e-canta». Ha fatto un’estate così. All’inizio divertiva, poi qualcuno con l’esigenza di dormire si è affacciato e gli ha intimato di smettere. Da quella volta Carletto non canta più.
Io e Carletto non ci salutiamo, lui non ha mai provato a farlo o a gridare il mio nome e nemmeno io. Però non credo pensi che sia antipatico, magari crede che sono semplicemente un tipo riservato a cui non piace urlare da balcone a balcone. Probabilmente è così considerando che quando ci incrociamo per strada lui mi fa una leggera smorfia con la testa e io ricambio smorzando un sorriso. Cerco di alzare le sopracciglia più che posso per farglielo notare. Lui sembra apprezzare e va bene così.
Ha il volto segnato Carletto, di uno che in passato ha sofferto a tal punto da non riuscire più a guidare o ad allontanarsi troppo di casa se non in compagnia. Eppure ha una fidanzata. A giudicare dalle conversazioni che tiene fiero sul balcone è pure molto innamorato. A volte le promette che quella che sta fumando è l’ultima sigaretta e che poi andrà a dormire. Il giorno dopo la richiamerà appena preso il caffè. Lei glielo fa promettere più volte. «Anche io ti voglio bene, giò» le dice prima di chiudere, «ci vediamo domani, ti prego non fare tardi come l’ultima volta. Vabbè non fa niente, ti aspetto lo stesso», poi mette giù.
*Carletto è un nome di fantasia. Il suo vero nome è solo suo.