Non scrivo mai post sul mondo del lavoro. Trovo che sia un argomento abbastanza serio, e tra queste mura cerco di parlare di tutto tranne di cose abbastanza serie.
Sono nato nella metà degli anni ottanta quindi faccio parte di quella generazione che va verso i trenta e che si accorge che il tempo scorre in fretta e l’osserviamo immobili, impotenti.
Ci hanno definiti in diversi modi: bamboccioni, choosy, sfigati e non continuo ché altrimenti vi annoio. Eppure di gente in gamba della mia generazione ne ho conosciuta e ne conosco, eh. Se c’è da definire un tizio coglione lo faccio senza alcun problema, e allo stesso modo se c’è da fare i complimenti, anzi, mi piace complimentarmi con la gente, è una cosa bellissima complimentarsi. Provate, poi mi dite.
Di coglioni ne ho conosciuti parecchi, ma sono molti di più i ragazzi in gamba, quelli con cui converserei volentieri per ore. Più delle volte questi ultimi sono i più disperati, perché nonostante abbiano tutte le carta in regola, e quando dico carte intendo sia l’umanità ma soprattutto le carte vere e cioè diploma, laurea e master vari, sono senza lavoro. Non hanno niente. Passano le loro giornate a stampare cv e inviarli a chiunque. Anche il fruttivendolo sotto casa vuole il cv; ti chiede quante lingue parli mentre lui parla a stento l’italiano, ché il dialetto viene meglio.
Qualche giorno fa ho letto un post molto bello e ahimé desolante di Daniela Farnese, blogger e scrittrice. Vi invito a leggerlo, ma se non avete voglia vi scrivo il titolo che sintetizza tutto in poche parole: tu lavori, e io non ti pago.
Tu lavori, e io non ti pago è la frase che più ci rappresenta. Alzi la mano chi non ha mai lavorato aggratis. Un tempo il lavoro aggratis era considerato uno step iniziale, “serve, ché fai esperienza”, dicevano. Oggi il lavoro aggratis è una realtà. Perché come diceva la stessa Daniela Farnese in un tweet: “il lavoro in Italia c’è, il problema è che non ti paga nessuno!“.
Qualche giorno fa sono andato a fare un colloquio. Non avevo grosse aspettative, figuriamoci se noi bamboccioni, choosy e sfigati ce le possiamo permettere. Mi ha ricevuto inizialmente una signora di età media abbastanza attraente che mi ha invitato a seguirla in una stanza piena di scartoffie. La prima frase che mi ha detto è stata: “sei motivato?“. Al punto di domanda avrei voluto alzarmi, porgerle garbatamente la mano e voltarle le spalle. Avevo capito che si trattava di qualcosa di molto lontana da un lavoro, quantomeno retribuito. Quando un colloquio inizia con un “sei motivato?” scappate, si tratta sicuramente di una fregatura.
La seconda frase è stata quella più terrificante, su cui realmente ho meditato di andarmene se non fosse che sono una persona abbastanza educata da sentire il resto della storia: “innanzitutto, non è un lavoro“, così mi ha detto.
“Non è un lavoro” era dovuto – credo – al fatto che non fosse retribuito. Perché era sì un lavoro, ma era aggratis. Quindi ha ammesso che ogni forma di lavoro dovrebbe essere remunerata, ma siccome quello non lo era io non meritavo di essere pagato.
La fase successiva e ultima del colloquio è stata una conversazione con il superiore. Un tizio sulla cinquantina, in salute e un po’ piccoletto che mi ha ricevuto nel suo ufficio. Una stretta di mano e dieci minuti di conversazione in cui ha parlato quasi solamente lui e non dicendo praticamente NIENTE. Frasi sconnesse e giri di parole figli di una scuola comunicativa che ha abbindolato il paese negli ultimi vent’anni facendoci poi un bel giorno ritrovare col culo per terra.
Alla fine mi ha invitato ad essere più esplicito possibile nell’esprimere il mio interesse ed io con massima franchezza ho detto: “no, grazie”.
Non so il motivo per il quale ho scritto questo post, forse perché sono un po’ stanco. Vorrei che le cose cambiassero, vorrei una possibilità, che non sia la luna, che non sia lo stipendio fisso e sicuro che mi fa girare i pollici da mattina a sera come mi ha detto con tono irrisorio il tipo in salute e piccoletto del colloquio, ma una lavoro dignitosamente pagato, un lavoro vero che mi permetta di pensare al domani. Magari lo scrivo a Babbo Natale, l’ultima volta ho ricevuto una super nintendo.