Ho scritto una breve storia su 20lines, un incipit che chiunque può continuare.
Il treno dovrebbe arrivare a momenti. Spero che non ritardi come la scorsa settimana. Non riuscirei ad aspettare molto con il freddo pungente che mi tocca le ossa. Menomale che ho messo anche la sciarpa oltre al cappotto. Qui arriva sempre un vento gelido di questi tempi, che costringe la gente ad aspettare in macchina per poi uscire non appena un tintinnio li avvisa che il treno sta arrivando.
Un tempo c’era una stazione qui, una piccola stanza dove almeno ci si riparava un po’. Oggi è chiusa. Mi hanno detto che è da alcuni anni che ormai è così. Non c’è neanche un un tizio col cappello a cui chiedere informazioni. Che tristezza. Quando ero piccolo mio padre li conosceva tutti. Si fermava a parlare con loro mentre io giocavo nel recinto dove c’erano alberi, piante e anche un’altalena che un capostazione aveva montato per suo figlio Giuseppe. Era di un anno più grande di me, Giuseppe. Non voleva che nessun altro salisse su quell’altalena, ma io ci salivo di nascosto, quando lui non c’era. Suo padre non era contrariato anzi, spesso era lui a invitarmi di salirci. Oggi quel recinto è un luogo abbandonato a sé stesso: piante morte, alberi secchi e foglie sparse qua e là. L’altro giorno un tizio ha trovato anche una siringa buttata lì come fosse un fazzoletto. Ha chiamato qualcuno del comune che desse una ripulita ma credo non sia servito a niente.
Nonostante ciò mi mancava questo posto. Mi mancava l’attesa che sembra un’eternità, il suono degli alberi mossi dal vento. Mi mancava osservare il binario che scompare al di là della curva, i lampioni che lentamente si iniziano ad illuminare. Mi mancava mio padre.