Odio gli avverbi di modo. Li trovo troppo avverbi. Mi fanno venire in mente Cetto La Qualunque e la mia vecchia professoressa di lettere che un giorno ci impose di fare un tema limitando al massimo gli avverbi di modo. Avevo tipo quindici anni ed è stato uno dei temi più difficili, perché per un siciliano non usare l’avverbio è come per un americano non indossare la maglia della salute.
Comunque – a parte il titolo – gli avverbi in questo post non c’entrano niente. Era solo così per dire, per iniziare a parlare di calcio entrando dal retro con le scarpe in mano per non fare rumore.
Di calcio, sì. Ché lo sapete che non mi piace parlare di calcio da queste parti, non perché non ne abbia voglia anzi, ma perché non voglio che questo posto diventi un tavolino quattro sedie e un’insegna con su scritto: il bar dello sport.
A dirla tutta poi non è un post da commenti tecnici, ché io mica sono Arrigo Sacchi, volevo solo condividere con il mondo la mia “crescita” alle amarezze sportive. Di solito si dice che quando uno non soffre – apparentemente (altro avverbio) – per amore è perché non ami abbastanza; credo sia una grandissima cazzata. C’è per esempio chi riesce a nascondere la delusione, ad abituarsi al dolore, a farsi scivolare le delusioni addosso – quest’ultima è quella che preferisco – ché mi sa di uomo vero.
Ieri sera per esempio, c’era la prima partita della Juve in Champions. La coppa. Quella che si gioca nel mezzo della settimana. Contro il Copenaghen. Danesi. Sì i danesi pare giochino pure a pallone. Eh. Insomma, brutta partita. Cioè nel primo tempo abbiamo giocato male male male, nel secondo potevamo vincere tipo 10 a 1, però abbiamo pareggiato 1 a 1 e ben ci sta. Inutile stare qui a raccontarvi le mie imprecazioni durante la partita. Ero parecchio nervoso e se fossi stato un fumatore sarei morto per troppe sigarette. Ma io sono io e per calmarmi mi sono affacciato al balcone a guardare la mia strada che la sera è parecchio tranquilla. Sono rimasto lì alcuni minuti, ho smaltito la rabbia molto in fretta – merito anche dello studente fuori sede che vive nel palazzo di fronte con addosso i calzettoni sino al ginocchio e le ciabatte con la fascia: mi-ti-co!
Smaltire una sconfitta per uno sportivo non è facile. Non è questione di essere abituati a vincere o a perdere, perché non esistono quelli che vincono sempre. Esistono quelli che vincono spesso, tipo noi gobbi, che sappiamo rimanere con i piedi per terra, che non ci arrendiamo dopo due settimi posti, e non ci esaltiamo dopo due scudetti stravinti. Il pensiero va alla prossima sfida, perché se è vero che «le sconfitte aiutano a crescere» sono le vittorie che ti portano a diventare grande.
p.s. Sì, Antonio Conte è uno che usa tantissimo gli avverbi.