Alla fine ho votato. Sono andato stamattina perché ieri ero fuori città, a vivere. Neanche il tempo di tornare a casa che sono passato dalla mia vecchia scuola media e mi sono recato al seggio. È il più scomodo della scuola, l’ultimo, quello che devi fare le scale, attraversare il primo corridoio, poi il secondo, poi il terzo e poi l’ultima porta a destra.
C’erano tre ragazzi, e un tizio più grande in piedi che credo fosse il presidente di seggio. Erano tutti abbastanza rilassati, (n’cera nessuno), e avevano gli smartphone lì in bella vista vicino le sigarette.
Neanche il tempo di dare la tessera elettorale e la patente che il tizio prepara due schede – camera e senato – che ormai proprio la mia faccia lo urla che non sono meno di venticinque, e mi infilo nella cabina numero 1. Apro la scheda rosa e dando una veloce occhiata faccio una x che manco col righello e la richiudo gonfiando il petto. Faccio lo stesso con l’altra ed esco dalla cabina in trenta secondi netti. Li imbuco con forza e con sicurezza, poi mi defilo e aspetto che il tipo mi ridìa i documenti e auguro a tutti una buona giornata. Uscendo mi guardo intorno, le mura di quella scuola sembrano uguali a quindici anni fa. Anche le aule, i banchi, le sedie. Quasi mi veniva la tristezza e l’anzia. Sì, con la zeta.
Arrivato fuori mi sentivo più leggero. Ero anche un po’ scazzato ma per altri motivi, però infilandomi in macchina mi sentivo soddisfatto.
Alla fine ho scelto per dei valori, per un simbolo, e non per i nomi, le facce, le promesse, le urla o la protesta. Ho deciso per quello a cui credo, tipo il domani.