Ho scritto una cosa per Quarta Copertina in omaggio a un genio del calcio che lascia il campionato italiano per andare a giocare a pallone in America, a New York. Tempo di lettura stimato: 4 minuti.
Un tipo speciale
Quando gli ho visto toccare per la prima volta il pallone ho pensato: questo qui è speciale. Era l’estate di due anni fa, lui era un diciottenne alto e potente e proveniva da una delle squadre più prestigiose del mondo: il Manchester Utd. Lo conoscevano in pochi. Giocava nelle giovanili, ma era pronto per giocare con i grandi, diceva il suo allenatore di allora – un certo Sir Alex Ferguson – che ha fatto di tutto per impedirgli di andare via, ma non è bastato: Paul Labile Pogba voleva giocare nella Juventus.
Tanto ci rivediamo
Dovrei avercela con lui, perché non si lascia una squadra, una società, milioni di tifosi con un videomessaggio. Dovrei avercela con lui perché abbandonare la nave il secondo giorno di ritiro… no, non si fa. Dovrei avercela con lui perché ha fatto sì che vincesse la paura di non vincere, non accettando il fatto che nel calcio, nello sport, non vincere va messo in conto. Lui no. Lui non ce l’ha fatta. Ci ha provato, ci ha pensato tutta l’estate, si è presentato a Vinovo, però niente. Le pile erano scariche. La voglia assente.
Dovrei avercela con lui.
Invece no. Non riesco. Non risco a dimenticare i tre anni di vittorie, i record, le conferenze stampa, la squalifica, le partite negli skybox, i pugni nel vetro, il ritorno sotto i miei occhi, le sue esultanze, gli abbracci, le grida, il «nessun dramma» dopo le poche sconfitte, il suo aver ridato una dignità sportiva alla Juventus e ai suoi tifosi.
Ragion per cui, grazie Mister Conte. Tanto ci rivediamo.
Buona fortuna
I tifosi che piangono solo se bambini
Ricordo l’ultima volta che ho pianto per una partita: era il maggio del 1998, una finale di Champions tra Juve e Real, e Mijatović aveva deciso che anche per quell’anno niente Champions. Avevo quasi undici anni.
Oggi, come allora, il più delle volte le partite le guardo da solo. In silenzio. In assoluto silenzio, a parte qualche sporadica imprecazione non dico niente. Quando sono in compagnia invece la tensione è più smorzata, come a voler fare quello tranquillo, ma anche no.
Un finale letterario perfetto
Amo il calcio anche perché è lo sport che si avvicina di più alla letteratura. Ecco, se esiste un finale letterario che può racchiudere questa stagione della Juve è Daniel Pablo Osvaldo che ieri a dieci secondi dalla fine fa il gol che batte la sua ex squadra e i suoi ex tifosi che sino a quel momento gliene avevano dette di tutti i colori, un po’ perché non è che si siano lasciati benissimo e un po’ perché oggi veste la maglia più pesante – e più odiata – del nostro campionato. Non è semplicemente il gol dell’ex. È il gol del record. È il gol che urla che siamo i più forti di tutti. È il gol che zittisce tutti. È il gol da finale perfetto.
p.s. Nel video in basso al secondo trenta si sente Osvaldo che dice al suo allenatore chiaramente «Non hanno più la forza di insultare, eh» è la frase che racchiude tutto.
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