Mi trovo a scrivere nella sala d’attesa dell’aeroporto di Cagliari. Vicino ho una signora che dice per l’ennesima volta al marito che non vuole assolutamente andare a cena dall’amico, ché già è stressata per il viaggio e in più l’ultima volta ha mangiato male e troppo piccante. Il marito cerca di tranquillizzarla poggiandole una mano sulla coscia rassicurandola che stasera non sarà come quella volta. Stasera cucina la moglie, le dice.
Dietro di me c’è un zio che tenta di infilare il carica batteria del cellulare nella presa che c’è in basso. Credo si stia sfilando la spalla. È quasi a terra. Lo guardo e penso a questa storia della presa di corrente per il cellulare nell’aeroporto e mi sale l’angoscia. Fortuna che mi volto a guardare la bambina di fronte che salta sulle gambe della madre e guardando il computer mi chiede a quale gioco io stia giocando, col tono di una bambina stanca e assonnata. «Ad un gioco bellissimo», le rispondo.