Da un anno a questa parte ogni volta che vedo un pedone in procinto di attraversare la strada mi fermo e lo faccio passare. Sempre. Che sia sulle strisce o no, ma soprattutto se è sulle strisce. Voi direte: «è una cosa normalissima, è un dovere civico-stradale». Giusto, ma non ditelo mai a un siciliano. (Nemmeno a me). È iniziato tutto in un’altra regione, dove – giustamente – pretendevano il diritto di attraversare la strada confidando nell’automobilista: per cui o mi adeguavo o sarei finito in galera.
Siamo canzonette
La differenza tra un giorno difficile e un giorno normale, apparentemente semplice, leggero, privo di complesse situazioni che ti calpestano l’umore, sta in una canzonetta che passa alla radio e che non canticchi, ma ascolti e basta.
Provi a fare quello forte, quello ne ha passate tante, che dà coraggio alle persone accanto, appoggiandogli una mano sulla spalla, accarezzandogli il volto con due dita, strappando loro un sorriso, una smorfia che fa sollievo. Poi torni in macchina, metti in moto, parte la radio e tu rimani in silenzio, ad ascoltare la musica che però non fermi, perché magari fosse semplice come una canzonetta.
L’altro giorno mio nonno, seduto in una scricchiolante sedia di una silenziosa sala d’attesa mi dice: «lo vedi, ora là dentro le canto una canzone, come quando da giovani litigavamo e dovevamo fare pace. Funzionava sempre».
Senza cuffie
Mi si è rotto l’iPod. Lo schermo è diventato tutto bianco, inutile riavviarlo tenendo premuto menù e tasto centrale, torna bianco di nuovo. L’avrò fatto un centinaio di volte. Anche il ripristino da iTunes non è servito a nulla. Le ho provate tutte, ho letto che probabilmente è partito lo schermo, e che ripararlo non conviene a patto che non ci tenga affettivamente.
Ieri sono andato in palestra senza cuffie. Vado in palestra con le cuffie quando ho intenzione di fare solamente corsa e preferisco la mia musica a quella degli altri. Per quaranta minuti ho sentito un sacco di voci. Ho sentito il mio vicino parlare con il suo vicino per tutto il tempo. Parlavano di femmine, di macchine, di Valentino Rossi.
Alla sera ho visto la partita della Juve. L’ho vista senza telecronaca perché ero stanco di sentire voci. A volte mi capita. La partita è finita molto male. Buffon alla fine ha fatto autocritica ammettendo che per lunghi tratti sono stati indecenti e che bisogna tornare presto ad essere umili altrimenti sono cazzi. Io lo ascoltavo con la solita ammirazione pensando che rivolevo le mie cuffie.
Rasoi e gesti irrinunciabili
L’altra volta dal barbiere notavo come in tanti – soprattutto ragazzi – si facevano fare la barba. Alcuni entravano solo per quel motivo e andavano via soddisfatti dopo aver pagato quei quattro euro. Io non sapevo quanto costava farsi la barba dal barbiere perché la barba dal barbiere non l’ho fatta mai. Ho sempre fatto da me, non perché non mi fidassi o cosa, ma perché ho sempre reputato quel gesto intimo, personale.
Il tram a Palermo
Il tram a Palermo esiste, l’ho visto. Era come nelle foto: bianco, nuovo, bello. Era vicino la stazione centrale, camminava fronte l’istituto alberghiero Pietro Piazza. Ero in macchina, fermo al semaforo, sbuffavo in attesa del verde. Prima quel semaforo non c’era. Come non c’era la vistosa segnaletica sull’asfalto. Vicino a me un signore sullo scooter con ragazzino dietro che gli indica qualcosa. Si voltano a guardare, mi volto anch’io: c’è il tram. Quello che avevo visto su internet e nei giornali. A bordo non c’è nessuno a parte il macchinista e un tizio affianco. Dev’essere un collaudo, penso. Fooorte, esclama entusiasta il ragazzino. Poi scatta il verde, lo scooter e la dozzina di macchine in attesa ripartono, disorientate da quell’immagine così moderna, così per bene.