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La riunione di condominio e la bicicletta
Vivo in un palazzo di centodieci gradini. 110. Per arrivare a casa mia devo salirli tutti e centodieci, un ultimo piano da raggiungere senza l’ausilio dell’ascensore.
Oltre alla fortuna di non avere l’ascensore, il palazzo in cui vivo vanta l’età media condominiale più alta della Sicilia e forse dell’Europa intera. Si narra che siano proprio i gradini l’elisir di lunga vita. Dunque per niente timoroso di trovarmi a polemizzare contro dei centenari-scassa-cabbasisi pronti a guardarmi con diprezzo, indìco una riunione di condominio, motivo: il permesso di poter lasciare una bicicletta – che ancora non ho – nell’atrio, ma solo tra le due e le quattro del pomeriggio, uno-due giorni la settimana.
Ci vado a piedi
«Ci vado a piedi» per un siciliano è una frase fortissima, per un palermitano è una frase da tso. Di colpo l’interlocutore vi guarderà come un medico guarda un infartuato e seguiranno domande di ogni tipo con lo scopo di dissuardervi da questa pazza idea qual è camminare a piedi.
Un solo binario, quel binario
Io vicino a un binario ci sono cresciuto. Chilometro 79, tra Lascari e Cefalù. Un binario unico, sì. Tagliava il casello ferroviario dei miei nonni con gli alberi di limoni del signor Bentivegna. Alberi che toccavo solo in compagnia di mio nonno, l’unico che poteva oltrepassare il binario. Io solitamente restavo al di là, con i piedi sul pietrisco dove provavo a fare le rovesciate di Gianluca Vialli.
L’arte di un allenatore di successo: Max Allegri
Quando l’arbitro fischia la fine della partita Massimiliano Allegri va via. Quasi di corsa abbandona il campo ed entra nel tunnel che porta agli spogliatoi. Che vinca o che perda. «È per lasciare il merito ai miei ragazzi», dice. Parole e gesto che raccontano molto chi sia Max Allegri, l’allenatore.
5 siti d’informazione da leggere assolutamente
Un amico mi ha chiesto oggi una manciata di siti italiani che secondo me bisogna consultare per aggiornarsi-bene o più semplicemente che vale la pena leggere. L’ho guardato con fare interdetto, perché quando mi chiedono consigli mi inibisco. Comunque visto che lui ha insistito ne approfitto per parlarne anche qui sul blog.
Cuore e vento
Tra le tante cose fatte in Sardegna per le vacanze c’è quella di aver mangiato la coscia di pecora. Prima però ho assaggiato il pecorino coi vermi ma senza i vermi. Mi è piaciuto, come mi è piaciuta la coscia di pecora e la salsiccia che fanno lì con l’aglio. Io che l’aglio non lo mangio mai.
Appena arrivato in Sardegna una settimana fa mi sono sentito bianco come un triestino a gennaio. La mia estate iniziava sceso da quell’aereo. Ho patito il caldo. Ho patito il caldo moltissimo. Sudavo. Sudavo da fermo, dormendo, camminando, sudavo mentre facevo la doccia. Sudavo come un maiale. Maiali che ho visto da vicino, o meglio dire: ci ho camminato intorno come fossero dei semplici cuccioli di cocker.
«Com’è profondo il mare»
Mi trovo a scrivere nella sala d’attesa dell’aeroporto di Cagliari. Vicino ho una signora che dice per l’ennesima volta al marito che non vuole assolutamente andare a cena dall’amico, ché già è stressata per il viaggio e in più l’ultima volta ha mangiato male e troppo piccante. Il marito cerca di tranquillizzarla poggiandole una mano sulla coscia rassicurandola che stasera non sarà come quella volta. Stasera cucina la moglie, le dice.
Carletto
«Sì sta bene», ha esclamato Carletto domenica mattina a chissà chi dal suo balcone. Erano le sette e qualcosa e io avevo da poco spento la sveglia. C’era un bel sole e una temperatura piacevole. Carletto era in pigiama con in mano la solita sigaretta. Il suo balcone è fronte al mio, un poco più alto. È uno che si sveglia presto, Carletto. A quanto pare pure la domenica. Una volta l’ho visto in mutande, sul balcone, poi sono rientrato un po’ provato. Era estate. Gli slip erano bianchi, come la strettissima canottiera che non copriva abbastanza la panza.
La bicicletta verde pastello
La trovò poggiata su un albero, Nicolò. In una calda mattina di luglio. Quando ancora scalzo e senza maglietta teneva tra le mani un freddo bicchiere di latte. Era lì, abbattuta, con le ruote sgonfie e la catena spezzata. Aveva anche i freni malconci. Sono sicuramente da cambiare, insieme a tutto il resto. Così gli disse Giovanni il suo miglior amico, e anche Michele il meccanico che aveva l’officina vicino il negozio di suo padre.
Una notte che non dimenticherò mai. L’alba più bella.
Fa caldo. Sono appena passate le undici di sera.
Ho sonno. È stata una giornata dura. Vorrei dormire, ma non ci riesco. Non è solo il caldo di un 8 Agosto qualsiasi, c’è qualcosa di più, qualcosa che accresce l’ansia che mi porto dietro dalla mattina, da quando mia sorella mi ha chiamato e mi ha detto che forse ci siamo, che è in ospedale, e presto saranno in tre.
Sono passate quasi 15 ore da quella chiamata. Le telefonate diminuiscono. Ha sempre meno voglia di parlare, di scherzare. I dolori aumentano.
C’è lui con lei. Le stringe la mano dalla mattina. Le dice di stare calma e tranquilla, ché poi passa.