Sto leggendo un libro: Il superlativo di amare, di Sergio Garufi. Me lo ha prestato Lei, dicendomi: «è bello, è scritto bene, devi leggerlo». È un libro di carta, ché a Lei gli ebook non vanno giù, quindi ha le pagine vere, da sfogliare, e una copertina, una copertina rossa da cui i vicini di posto nel pullman possono leggerne il titolo e magari conoscerne il contenuto.
Da tre anni ormai la maggior parte dei libri li leggo su Kindle. Ormai lo considero un amico pari all’iPod. Viene con me ovunque. La mia vita ne ha beneficiato parecchio: niente più libri in borsa, carattere personalizzabile che per un astigmatico-ipermetrope come me è la felicità e tanti altri vantaggi che non sto qui a dirvi altrimenti persate che si tratta di un post-marketta pagato da Amazon. Tra i vantaggi datomi dal Kindle c’è anche l’imbarazzo di leggere in pubblico. Mi spiego meglio: con il Kindle posso leggere anche le peggiori schifezze senza la paura che la gente giudichi i miei gusti letterari. Niente copertine, niente titoli o nomi. Niente. È una cosa a cui i primi tempi non facevo caso e che ho notato solo quando poi mi è capitato tra le mani un libro di carta che mi ha fatto vergognare. Eppure non stavo leggendo Moccia, lo giuro. Credo fosse Murakami. Comunque, è stata una cosa istintiva: mi sono imbarazzato. Tentavo di coprire la copertina più che potevo, come mia nonna quando leggeva Chi sul treno. Ovviamente non riguarda la paura di essere beccato con un romanzetto spazzatura, accadrebbe pure se leggessi Kafka, e non riguarda neanche la letteratura, perché sono sicuro che accadrebbe la stessa identica cosa se guardassi un episodio di House of Cards o Homeland. A volte nella vita reale so essere una persona molto timida e riservata, mica come qui nel blog.
Oggi per esempio sul pullman alla mia destra c’era una ragazza. A giudicare dalle quattro-cinque telefonate avute con la persona che la faceva sbuffare era pugliese. Era rivolta verso di me, ché c’era il panorama migliore. (Devo smetterla di sedermi dal lato del mare). Quando ho tirato fuori il libro dalla borsa ha lanciato uno sguardo di curiosità che è durato quasi tutto il viaggio. Allungava persino il collo! Probabilmente le piaceva la storia. Al che ho pensato di non leggere, di chiudere il libro, ché condividere quelle pagine in quel momento mi facevano sentire a disagio. Sono stati momenti di grande imbarazzo, ve lo assicuro, fino a quando mi sono ricordato che corro spedito verso i trenta e che anche se non ho le basette sono un uomo abbastanza virile. (So infilzare l’ombrellone nella sabbia, io). Quindi via i timori: mi sono immaginato nella sala di un cinema affollato o in un teatro semivuoto mentre l’autore seduto su uno sgabello raccontava la sua storia, la storia bella e normale di Gino e Stella, e a quel punto non me ne importava più niente di dov’ero e con chi ero e ho continuato a leggere.