È quasi estate.
Torno a scrivere dopo mesi, è come salire su una bicicletta con le ruote sgonfie, la paura di cadere diventa più forte della voglia di correre.
Però ho avuto bisogno di farlo. Dovevo staccare. Dai libri, dalle tastiere e dalle parole. Era il modo migliore per riprendere fiato dopo che per anni ho tirato fuori tutta l’aria che avevo in corpo.
Nel frattempo ho fatto cose, tra cui toccare le vite degli altri. Ho ascoltato, fatto parlare la gente. Mi sono lasciato trasportare dagli eventi, dai sentimenti, dalla voglia di fare.
Mi sono fermato poco. A dire il vero non mi sono fermato affatto. Ho corso per giorni, settimane, mesi. Mi sono messo a disposizione della vita. Ho provato a relazionarmi con gli estranei come vorrei che gli estranei si relazionassero con me: educazione, disponibilità e ricerca.
Attraverso il mio lavoro e la mia attitudine ho cercato di studiare le persone, ascoltandole e osservandole, facendo ciò quelle stesse persone hanno migliorato molti aspetti di me e del mio lavoro.
In questi mesi dove non sentivo l’esigenza di esternare e condividere pensieri, mi sono fatto i cavoli miei, che anche quella è una buona cosa ai giorni d’oggi.
Mi sono informato il necessario, non sono – purtroppo – andato a votare, ho fatto poco sport e mangiato più del necessario.
Proverò a rimediare, nel frattempo mi fermo a chiacchierare, con tutti, soprattutto con i vecchietti.
«Amatevi», mi disse un uomo di non poche primavere mentre si faceva trascinare da un carrello della spesa, aggiungendo: «è l’unica cosa da fare in questa vita».