Oggi in aereo ho viaggiato in compagnia di una signora, esile e giovanile, con addosso un vistoso cappello di lana e la figlia ventenne vicino.
«Sei siciliano?» mi chiede.
E’ sarda. Si sente, poco ma si sente. Vuole conoscere la mia storia. Nel frattempo mi racconta la sua, senz’altro più interessante: «vivo in Sicilia praticamente da sempre. Mi sono trasferita per amore, mio marito è siciliano».
Insegna italiano alle medie, lei. Mentre lo dice i miei occhi testimoniano contentezza. (Vive gli insegnanti d’italiano). Nel frattempo parliamo di cultura, politica, mare. Mi chiede cosa ne penso della sua terra, della mia. Mentre parlo i suoi occhi neri e grandi sono concentrati su di me.
«Non viaggio molto, mi piacerebbe tornare a trovare mia madre più spesso ma non riesco» mi dice abbassando la testa. «Viaggiare per me non è semplice».
Il volo è breve. Appena mezz’ora e siamo in fase di atterraggio. Il cielo è nuvoloso. Qualche turbolenza e mi confessa che ha un po’ paura; il segno della croce al decollo me l’aveva fatto presupporre. Ad attenderci ci sarà un forte vento e aria gelida.
«A Birgi ci sono due modi di atterrare, dipende da dove soffia il vento» le spiego perché le troppe manovre del pilota la insospettiscono.
«Capisco. E ora da dove stiamo atterrando?»
A questa domanda mi attardo a rispondere, prima faccio spazio tra me e il finestrino per mostrarle le campagne trapanesi. Lei però non si avvicina per dare un’occhiata, rimane ferma dov’è. Inizio a capire. La domanda successiva mi toglie ogni dubbio: «si vede già la terra?»
A trent’anni credo di aver intrapreso parecchi viaggi condivisi con sconosciuti più o meno interessanti, ma il 6 gennaio del 2017, con addosso un pessimo umore sotto tre strati di cotone, una donna sconosciuta con una grande storia mi ha regalato la gioia di vedere la mia terra come mai prima. Spero che almeno le mie parole le abbiano regalato un’immagine.
A risentirci.