Da piccolo quando avevo tipo sette otto anni prendevo il telecomando della tv e lo facevo diventare un microfono. Imitavo quelli che facevano la radio. Ce l’avevamo in cucina, la radio, mia madre la teneva sopra la lavatrice e l’ascoltava quando cucinava o puliva i piatti. Quando lei non c’era io l’ascoltavo per ore. A volte copiavo gli speaker, annunciavo le canzoni e le disannunciavo prima ancora che finissero. Mi piaceva, mi faceva sentire grande.
Oggi ascolto la radio spesso. Ogni giorno. In macchina soprattutto. Tra le mainstream vanno per la maggiore Deejay e Rds. Ma ascolto anche quelle minori, tipo il pomeriggio di ritorno dalla palestra ascolto Primaradio. Dalle 17 alle 20 c’è un amico che fa il suo lavoro con competenza: Giacomo Maniaci.
Fare la radio è un mestiere. Invidio tantissimo chi fa radio. Per alcuni può sembrare una cosa fatta per gioco dopo il lavoro ma non è affatto così. Mi capita di frequente ultimamente di sentire gente che fa la radio male, con una voce che fa venire l’orticaria e ti addormenta prima di un pessimo libro; sono momenti tristi. Lavorare in radio e avere la possibilità di parlare davanti ad un microfono e mettere dischi è una fortuna che hanno in pochi, e quando sento gente che non se ne rende conto mi sale il nervoso.
La musica è un’arte, e chi ha a che fare con essa deve avere gusto, accortezza, intelligenza. La radio è uno dei principali strumenti della musica. Il più importante. Ed è forse per questo che la amo da quando ho otto anni.